ABISSO DEI MARON GLACES

Speleologia
Descrizione itinerario

L’esplorazione speleologica della zona sommitale della Grigna settentrionale prese avvio solo nel secondo dopoguerra. I primi – e per i successivi tre decenni praticamente anche gli unici – a svolgere ricerche furono gli speleologi del Gruppo Grotte Milano. Le tecniche rudimentali con cui le esplorazioni venivano condotte e le difficoltà di avvicinamento probabilmente furono il motivo per cui in quegli anni non vennero esplorati abissi la cui profondità superava i 200 m.
Contemporaneamente alle esplorazioni sotterranee, gli speleologi milanesi condussero anche un’attenta campagna topografica della superficie esterna riportando in carta, oltre agli ingressi delle grotte, anche le principali forme di carsismo epigeo (doline, karren, bogaz ecc.).
Nell’ambito di questo lavoro, nella zona degli Zucchi del Nevaio, sul finire degli anni Settanta furono individuati tra gli altri due grossi pozzi coalescenti a cielo aperto con il fondo interessato da un grosso deposito di neve. L’area, posta sul versante settentrionale della montagna ad una quota altimetrica superiore ai 2100 m s.l.m., risulta particolarmente fredda e la grande maggioranza delle numerose cavità presenti risulta quindi interessata da imponenti depositi glacio-nivali. Spesso sono proprio questi ultimi a imporre il termine delle esplorazioni.
Lo sprofondamento, catastato con la sigla LO 1809, fu disceso nel settembre del 1980. Gli speleologi individuarono un passaggio tra neve e roccia che si rivelò l’accesso alle parti più profonde della cavità. Le esplorazioni condotte nei 5 anni successivi videro protagonisti oltre a elementi lombardi anche speleologi veneti in quello che può essere ricordato come il primo esempio di esplorazione condivisa sulla montagna. La grotta, battezzata abisso dei Maron Glaces, si sviluppa inizialmente attraverso una successione di grandi verticali che ne fecero ben presto la più profonda dell’area. L’anno successivo alla scoperta infatti fu raggiunto un primo fondo alla profondità di -305 m. Successivamente una breve risalita rivelò una sequenza di nuove verticali e tratti di forra che permisero agli speleologi di approfondirsi superando, per la prima volta nella montagna lecchese, la profondità di -500 m. Le esplorazioni si conclusero alla profondità di -557 m davanti a fessura bagnata.
Negli anni successivi nella zona degli Zucchi del Nevaio furono esplorate altre importanti cavità (Il Tigre, Le Bambine Crescono) senza tuttavia riuscire a effettuare la giunzione fisica con l’abisso dei Maron Glaces.
L’ingresso della cavità è costituito da un pozzo a cielo aperto il cui fondo è interessato da importanti depositi nevosi. La possibilità di accedere alle parti profonde della grotta è condizionata dal livello della neve presente nei primi ambienti dell’abisso. Superato questo tratto si percorrono alcune notevoli verticali (P52, P40, P81, P47) inframezzate da brevi meandri e strettoie. Superato un pozzo cieco di 52 metri, la grotta prosegue alternando brevi verticali a tratti di meandro più o meno agevole fino alla profondità di 557 metri dove una strettoia blocca la prosecuzione.
Autore: Antonio Premazzi – SPELEO CLUB CAI ERBA – Progetto InGrigna!

Si ringrazia Federazione Speleologica Lombarda per l’utilizzo a titolo gratuito dei dati catastali delle grotte citate nel testo

Note

Diverse grotte che si aprono alle quote più elevate sul versante settentrionale del Grignone sono interessate da depositi glacio-nivali. Nell’immagine l’imponente colata di ghiaccio di oltre 50 metri di altezza che caratterizza l’abisso Infermi nel Ghiaccio (foto Luana Aimar– SPELEO CLUB CAI ERBA – Progetto InGrigna!)

Tracciato GPS

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